L’Ego e lo iaido

Una danza tra luci e ombre.

In un dojo silenzioso, dove l’aria vibra di concentrazione e il legno riecheggia sotto i piedi nudi dei praticanti, si svolge una danza silenziosa e mortale. Non è solo una danza fra spade, ma anche fra anime, dove l’ego si confronta e scontra con la disciplina dello iaido. In questa arte marziale, così profondamente radicata nella cultura e nella storia giapponese, l’ego non è solo un avversario: è un compagno inseparabile ed il più difficile da sconfiggere.

Quando ci approcciamo alle arti marziali, è inevitabile portare con noi l’intero bagaglio del nostro essere, inclusi orgoglio e preconcetti. Il tatami diventa così lo specchio dove si riflettono le nostre più profonde paure e insicurezze. È comune, soprattutto nei neofiti ma non solo, interpretare la pratica come una sfida verso l’esterno, un confronto con l’altro. Tuttavia, la vera essenza dello studio marziale si svela nel momento in cui comprendiamo che l’unico vero avversario da superare è dentro di noi.

L’arte marziale, nel suo percorso didattico e filosofico, ci insegna che superare l’ego non significa annientarlo, ma riconoscerlo, accettarlo e trascenderlo. Questo processo non è immediato, ma richiede dedizione, pazienza e, soprattutto, umiltà. Il vero marzialista è colui che, attraverso la pratica costante, impara a vedere l’ego per quello che è: un’illusione transitoria, una maschera che può essere deposta.

Lo iaido, con il suo fluire di kata silenziosi e meditativi, diventa uno strumento di profonda introspezione. Attraverso la ripetizione e la precisione dei gesti, impariamo a conoscere i nostri limiti, le nostre paure e come queste costituiscano il nostro ego. La spada, più che tagliare l’aria, taglia via strati di arroganza e presunzione, lasciando emergere la nostra vera natura e il nostro bisogno di Assoluto.

Quindi, all’inizio del percorso, l’ego si erge sovente come un ostacolo. Può distogliere l’attenzione dall’apprendimento vero e proprio, focalizzandola invece sul confronto con gli altri o sull’autocommiserazione per le difficoltà incontrate. In questo stato, la spada diventa pesante, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. La mente, intrappolata in un labirinto di pensieri egoistici, non è libera di fluire con la katana, e la pratica diventa rigida, priva di quella grazia e fluidità che sono l’essenza stessa dello iaido.

Tuttavia, con il tempo e la pratica costante, il nostro ego inizia a trasformarsi. Non viene eliminato ma viene educato, plasmato dalla disciplina imposta dalla Via della Spada. Imparare a riconoscere la nostra arroganza, accettare le nostre paure e superare le frustrazioni diventa parte integrante del cammino. La spada, che una volta sembrava pesante, si trasforma finalmente in un’estensione del corpo e dello spirito, accompagnata da un ego che ha finalmente imparato l’umiltà e la pazienza.

La consapevolezza di sé che deriva dall’avere affrontato e cambiato il nostro ego arricchisce ogni movimento, ogni taglio e ogni rientro della spada nel fodero. La pratica diventa un’espressione di equilibrio interiore, un atto di pura presenza che va oltre la semplice esecuzione tecnica. Ogni movimento è meditazione, ogni attacco e difesa una danza che nasce dal profondo. Questo stato di flusso, di presenza assoluta, ci permette di superare la dualità io-altro, soggetto-oggetto, e di accedere a uno spazio di pura consapevolezza, dove alla fine l’ego non ha più ragion d’essere.

Impegnandoci nella pratica dello iaido, non solo miglioriamo tecnicamente come marzialisti, ma cresciamo come individui. Le lezioni apprese sul tatami si trasferiscono nella vita quotidiana, spingendoci verso scelte più consapevoli, relazioni più autentiche e, in ultima analisi, una vita più piena e soddisfacente.